
Incontra un Spatialista italiano che non è Lucio Fontana
Il mese prossimo a Londra, un'indagine su oltre 40 opere ripercorrerà l'intera carriera dell'artista italiano Paolo Scheggi (1940 – 1971). Paolo Scheggi: In Depth presso la Estorick Collection of Modern Italian Art di Londra sarà la prima grande esposizione di Scheggi nel Regno Unito. Durante la sua breve vita—morì all'età di 30 anni—Scheggi era consumato da pensieri su ciò che esiste oltre la superficie. Questa preoccupazione si manifestava in modi sia materiali che immateriali. Nel regno immateriale, Scheggi assorbiva poesia e filosofia metafisica, riempiendo il suo studio, e talvolta la sua arte, di sentimenti poetici dei maestri che ammirava, come T. S. Eliot. Fondò anche la rivista “Il Malinteso”, che scrutava i linguaggi visivi delle arti plastiche. Nel regno fisico, creò un corpo d'arte multidimensionale che cercava di dare forma concreta alla sua ricerca di quella che chiamava “giustificazione per la nostra esistenza.” Inevitabilmente, le sue opere d'arte venivano definite astratte perché evitavano la narrazione. Ma quella parola è incompleta in questo caso. Cosa significa dire che un tentativo di esprimere l'invisibile o l'immateriale è un'astrazione? Scheggi credeva che la verità dell'esistenza umana non si trovasse in superficie, ma nelle profondità delle nostre esperienze. Esplorava quelle profondità in ogni modo possibile, attraverso la pittura, la scultura, il design, l'architettura, la moda e il teatro. Le sue idee erano forse meglio espresse nelle sue opere in rilievo, che adottavano le strategie visive del Spatialism per dimostrare la verità essenziale che esiste una moltitudine di dimensioni nascoste oltre ciò che inizialmente percepiamo con i nostri occhi. Come il suo predecessore e ispiratore Lucio Fontana, Scheggi sapeva che solo se osiamo squarciare le superficialità possiamo iniziare a comprendere ciò che si trova sotto.
Uno sguardo lungo e breve
Uno dei vari aforismi incorporati nel titolo Paolo Scheggi: In Depth è che Scheggi è stato un artista produttivo per circa 12 anni. Quanto può essere approfondita qualsiasi indagine su una carriera così breve? Eppure Scheggi è stato sorprendentemente produttivo, sia intellettualmente che in studio. L'indagine inizia con una sorta di tela visiva vuota: una serie di monocromi che Scheggi realizzò in lamiera quando era ancora un adolescente. Una palette monocromatica è qualcosa che Scheggi ha mantenuto per tutta la sua carriera, lasciando che la purezza di un singolo colore attirasse la nostra attenzione sugli aspetti spaziali e dimensionali del suo lavoro. Successivamente, dopo i suoi monocromi, vediamo esempi di una serie che Scheggi chiamò “Zone Riflesse”. Riferendosi direttamente ai telai tagliati realizzati da Lucio Fontana, queste opere sono state create sovrapponendo tre tele l'una sull'altra e poi ritagliando forme ellittiche in ciascuna tela in modo che i buchi vuoti nelle tele si sovrappongano. Lo spettatore può guardare oltre la superficie di una superficie monocroma in un'altra, e poi in un'altra ancora. Luce e ombra aggiungono profondità visive mentre le vere profondità sono create negli spazi tra i livelli.
Paolo Scheggi - Superficie Curva in Arancione, 1969. Acrilico arancione su tre tele sovrapposte. 120 × 120 × 6.5 cm. Collezione Franca e Cosima Scheggi, Milano.
Segue una serie di esempi di un corpo di lavoro chiamato “Intersurfaces.” Questi pezzi consistono anch'essi di tele stratificate, ma invece di forme identiche tagliate dalle superfici, vengono rimosse forme diverse. L'effetto risultante è che emergono schemi geometrici e biomorfici inaspettati nei vuoti, suggerendo strutture invisibili e continuità negli spazi nascosti oltre ciò che l'occhio può vedere. Le “Intersurfaces” rendono il vuoto il soggetto dell'opera e suggeriscono la possibilità di un sottotesto visivo, invitando letteralmente gli spettatori a partecipare “leggendo tra le righe.” La partecipazione è chiaramente un punto chiave dell'intera carriera di Scheggi—credeva ovviamente che gli spettatori dovessero coinvolgersi attivamente nell'arte invece di limitarsi a guardare passivamente. Tali idee collegano Scheggi a movimenti come l'Arte Programmata, un movimento d'arte cinetica italiano dedicato a creare nuovi tipi di opere d'arte, come descritto dal filosofo italiano Umberto Eco, che affermava che l'arte non è più qualcosa di immobile, in attesa di essere vista, ma qualcosa in fase di divenire mentre la osserviamo.
Paolo Scheggi - Maquette per il ‘Plastic Interchamber’, 1966. Fogli di legno curvato e perforato dipinti di giallo. 52,5 × 86 × 66 cm. Collezione Franca e Cosima Scheggi, Milano.
Quanto è profondo il profondo?
Un altro gioco di parole incorporato nel titolo di questo sondaggio è quanto significato sia implicato dalle parole "in profondità". Che cos'è la profondità? Come la troviamo? In un senso pratico, abitiamo sempre le profondità dello spazio fisico, non siamo mai realmente sulla superficie di nulla. Eppure vediamo sempre nello spazio e sentiamo che l'unico modo per protrudere nelle sue profondità è muoversi. Scheggi sapeva che il movimento è la chiave per la profondità e continuò a perfezionare i suoi concetti visivi per premiare ulteriormente gli spettatori disposti a partecipare all'opera attraverso il movimento. Creò una serie di opere stratificate in cui la superficie superiore presenta ritagli circolari disposti in una griglia. Queste opere mobilitano le condizioni di illuminazione mutevoli e il movimento dello spettatore per creare una rete in evoluzione di immagini geometriche apparentemente simboliche all'interno del tableau fluttuante. Non possiamo muoverci fisicamente in queste profondità, ma possiamo scrutare in esse e immaginare le ulteriori profondità di significato che implicano.
Paolo Scheggi - Inter-ena-cube, 1968. Moduli di cartone verde forato e Plexiglas. 102 x 102 x 11 cm. Collezione Franca e Cosima Scheggi, Milano.
Come chiarisce questa esposizione, tuttavia, se Scheggi fosse sopravvissuto più a lungo, avrebbe voluto creare più opere in cui gli spettatori potessero effettivamente entrare. Questo è evidente nelle sue opere teatrali, ben documentate da questa mostra, e nelle sue creazioni di moda. Ma è soprattutto evidente in un modello per qualcosa che Scheggi chiamava "Plastic Interchamber" (1966), un'installazione ambientale simile a un'opera di Bridget Riley realizzata tre anni prima chiamata "Continuum", che consente agli spettatori di entrare negli interni interspaziali dell'opera per diventare parte delle sue profondità visive e fisiche. Chiaramente, come molti artisti della sua generazione, Scheggi era consapevole delle profondità inespresse dell'esperienza umana e desideroso di trovare modi semplici ed emozionanti per esaminarle. Anche se non era prolifico come Fontana, Riley e gli altri artisti che lo ispiravano, le sue opere espandono le profondità della nostra percezione in modi freschi, umili e infinitamente piacevoli. Paolo Scheggi: In Depth sarà in mostra dal 3 luglio al 15 settembre 2019.
Immagine in evidenza: Paolo Scheggi - Curved Intersurface, 1965. Acrilico rosso su tre tele sovrapposte. 100 x 100 x 6 cm. Collezione Franca e Cosima Scheggi, Milano.
Tutte le immagini sono utilizzate solo a scopo illustrativo
Di Phillip Barcio